Di lui hanno scritto...
Di lui hanno scritto...
“… Marco Marchesi si è seriamente impegnato per acquisire una sua specifica personalità. E vi è riuscito, come ben dimostrano i suoi dipinti. Egli è un pittore figurativo, per cui la sua inclinazione è quella di seguire le scuole dei grandi maestri del passato. Ma tutto ciò non servirebbe qualora egli si limitasse ad una pura e semplice imitazione. Pur conservando fondamentali i principi che riguardano la composizione, la struttura, il rispetto delle prospettive, quindi l’impegno ad usare un disegno preciso, Marco è riuscito a superare quell’aspetto che definiremmo accademico, per offrire “qualcosa” di sé. E vi è riuscito. Infatti, ai dipinti che si riferiscono a determinati ritratti, oppure a particolari figure in cui si richiede una maggiore aderenza al dato di fatto, per gli altri soggetti Marco Marchesi preferisce che l’immagine abbia in sé un’atmosfera idilliaca, in certo senso trasfigurata, quasi si trattasse di una visione di sogno oppure di una visione concepita nel dormiveglia. Di conseguenza il disegno diviene soffuso, preciso sì ma pur sempre in certo senso adombrato, come si trattasse di un’immagine misteriosa carica di un singolare fascino. È, questa, una intuizione che merita attenzione da parte dell’osservatore. Infatti, a nostro giudizio Marco vuole che i suoi soggetti diventino motivo di ulteriore ricerca, di emozioni spontanee oppure che si sviluppano gradatamente mentre ci si concentra sull’immagine stessa. Un tal modo di dipingere torna a pieno merito del bravo pittore Marco Marchesi, che riesce perfettamente a servirsi di una variegata gamma cromatica per evidenziare bagliori di luce in un contesto sempre delicato e, per certi versi, trasparente.”
Lino Lazzari
“… Non posso cercare di spiegare ad altri le ragioni di Marco, anche perché, a mio parere, la sua arte non ha bisogno del traduttore, il suo linguaggio è esplicito, ma tutt’altro che scontato; posso solo tentare di raccontare quali sono state le mie emozioni di fronte alla sua specialissima arte. Innanzitutto, i suoi quadri sono riconoscibili, immediatamente attribuiti a lui; chi abbia visto anche una sola volta una sua opera, riconosce subito la fonte in incontri successivi. La caratteristica è data dal ruolo dominate del colore “rispetto al disegno”, del segno del pennello che appare ricco e generoso rispetto alla matita. Ed è un segno che parte da un punto centrale e si amplifica, in modo rotondo, come i cerchi dell’acqua dello stagno dopo che sia caduto un sasso. Ciò che ne risulta è un moto tempestose di onde su un fondo quasi monocromo dal quale spiccano, gialli, rossi e blu vividissimi, colori che diventano essi stessi significato e nelle cui pieghe si scoprono cose nuove che l’occhio non aveva colto al primo impatto. Poi il quadro lancia il suo messaggio, senza mediazioni, perché l’arte di Marco raggiunge e colpisce direttamente l’anima. Ed è per questo che comprendiamo subito il suo linguaggio, perché ci dice cose che già conosciamo o, meglio, che la nostra anima conosce, da sempre, poiché per parlare usa la lingua primordiale, quella dei simboli; come tale subito intuibile da chi possiede l’umiltà di avere un’anima”
Emilio Tonissi
“… Lo stile descrittivo e l’arte di muovere il colore sulla tela, si sono certo evoluti e impreziositi di una maggiore maestria, ma penso di poter riconoscere la stessa originale solidità di fondo nel desiderio di raccontare l’emozione dell’incontro con spazi e cammini riconoscibili e concreti della propria terra. Una terra che dice il bisogno di sentirsi radicati, non estranei ai luoghi che abitiamo e viviamo insieme, e nello stesso tempo esprime il desiderio di una tensione ad un “Oltre” che ci apre ad ulteriori cammini ed incontri, che ci fa scoprire la nostra casa come più grande dei nostri augusti orizzonti. Marco è un uomo sensibile e schivo, a cui non piace parlare di sé. Ma nei suoi dipinti esprime forse, molto di più di quanto non faccia con le parole. In tal senso, mi pare di riconoscere un discorso più introspettivo, mi pare di riconoscerlo nella realizzazione delle diverse immagini di maternità. Egli realizza la descrizione di quel tratto del suo sguardo sul mondo, che passa attraverso l’esperienza del dono, dell’oblatività: la vita come vera solo se vissuta con e per gli altri. La raffigurazione della maternità è l’espressione di come la nostra esistenza passi attraverso l’aprirsi al futuro non pensando ad acquisire sicurezze per sé stessi, ma nel generare una nuova vita, nel dare speranza a chi è piccolo, nell’offrire fiducia e coraggio a chi sta muovendo i primi passi.”
Michele Chioda